Da "Napoli Art Magazine", 18 settembre 2014
Il primo blog di Arte e Cultura a Napoli - intervista di Domenico Mimmo Di Caterino
"Ecco a voi l'artista che ha riesumato la "Chiena" di Campagna trasformandola in opera d'arte. Domenico Mimmo Di Caterino intervista per voi Angelo Riviello. Onorato di ospitarli sul nostro Magazine".
http://www.napoliartmagazine.it/?p=403
Il primo blog di Arte e Cultura a Napoli - intervista di Domenico Mimmo Di Caterino
"Ecco a voi l'artista che ha riesumato la "Chiena" di Campagna trasformandola in opera d'arte. Domenico Mimmo Di Caterino intervista per voi Angelo Riviello. Onorato di ospitarli sul nostro Magazine".
http://www.napoliartmagazine.it/?p=403
Il Vesuvio visto da un’isola: Mimmo Di Caterino intervista Angelo Riviello.
Partiamo da un dato di fatto, l’impegno politico del tuo lavoro, di artista come di curatore; da sempre approfondisci problematiche complesse legate al sistema dell’arte Italia è hai compiuto anche il miracolo Campagna, ovvero quello di fare ragionare sulle problematiche dell’arte contemporanea, una tranquilla comunità periferica, il luogo comune vuole che di arte contemporanea si possa ragionare solo in luoghi, spazi e metropoli preposte, tu con la tua esperienza hai dimostrato il contrario, come è stato possibile? Come ha reagito Campagna all’arte contemporanea (anche di spessore internazionale) che hai proposto?
Dopo il mio soggiorno a Roma, e soprattutto a Milano, e dopo aver constatato, che l’arte (quella determinata dal sistema) prendeva un’altra piega dalla mia ricerca, per me restare in quei siti, era inutile, a meno che non mi rimettessi a dipingere per vivere di pittura, rientrai a casa, in una tranquilla comunità periferica, come tu dici (a 30 Km da Salerno e 100 da Napoli), teatro della mia identità culturale, storica e antropologica, dalla quale non mi ero mai staccato.Con quella cultura, ci lavoravo con la mia ricerca, nel mio andirivieni da “pendolare” dal sud al nord, e grazie a quel nord, in una realtà urbana da grande metropoli (quasi newyorkese), pensavo al sud in modo distaccato per cogliere ciò che mi interessava mettere in risalto, vivevo, vendendo libri a rate della Casa Editrice Einaudi (spostandomi in biciletta per le vie di Milano).La tradizione, per me, è stata (ed è), la base per guardare avanti, nel tentativo di realizzare un mio concetto di “ricerca”.Una volta a casa, e cioè in Campania, e precisamente a Campagna, in provincia di Salerno, mi trovai dopo due anni nel bel mezzo di un terremoto del 23-11-1980, che causò nella sua tragica conseguenza oltre tremila morti, in tutta l’area del cratere, sconvolgendo un intero mondo antropologico, religioso e culturale. Non poca fu la rabbia, lo spaesamento e la paura di un futuro possibile. Rimboccandomi le maniche, ben presto mi trovai impegnato su tre fronti:
Quello della SALVAGUARDIA del patrimonio esistente della mia città, attraverso i suoi segni portanti, e in tale specifico, il canale dell’acqua del fiume Tenza (dove ha origine la deviazione delle acque che generano la “Chiena”) era uno di questi, fondamentale, per ridare speranza ad una comunità dell’entroterra colpita dal sisma (lontana dai soliti itinerari di interesse), come tante altre realtà del cratere, nel progettare un futuro possibile, per il richiamo di un turismo sostenibile.
QUELLO DEL RECUPERO, come conseguenza nei fatti, nell’estate del 1982.
LA NUOVA DESTINAZIONE D’USO, attraverso l’arte e la cultura del presente (dal 1985 al 1994, con una ripresa nel 1997, e poi dal 2005 al 2011-2012, con la recente partecipazione anche di artisti stranieri di diverse nazionalità (tra cui alcuni che vivono a New York), per far rientrare l’arte (“messa intanto da parte”, guarda caso, non dalla gente del posto ma dalle solite istituzioni), proposta dall’Associazione “Utopia Contemporary Art”, ma senza esito, data la scarsità di fondi e l’insensibilità politico- amministrativa, a parte la crisi.
Tu parli di miracolo?
Possibile, certo, con la sola forza delle idee, ma agli inizi, nel recuperare la “Chiena” nel 1982, e trasformata in “opera d’arte” nel 1985 (nella metamorfosi, da evento tradizionale, locale, a evento universale), grazie ad una situazione interna di supporto basilare con persone del posto, ma soprattutto, per la creatività riscontrata e alla qualità delle operazioni di interventi nell’acqua (unitamente ad un uso ecologico e ludico dell’evento), nella collaborazione di numerosi artisti (dissidenti nei confronti della Transavanguardia), coinvolti con un invito aperto (dato che il sistema guardava da un’altra parte), provenienti da ogni parte d’Italia (alcuni dei quali stranieri, i primi di una serie), dando loro vitto e alloggio (in parte nell’ex convento dei Frati Domenicani, di Giordano Bruno, per farne una Casa/Museo/Laboratorio, e in parte nei prefabbricati del dopo sisma, attrezzati e dotati di doccia), senza i quali era impossibile che tutto ciò avvenisse.
Oggi a distanza di 32 anni, la “Chiena”, con il suo canale, che una volta portava acqua ai mulini, ai pastifici, alle cartiere, alla centrale idrico-elettrica, e serviva a pulire le strade del centro storico attraversate, una volta anche da pecore, asini e muli (oltre che a rinfrescare d’estate il corso principale della città), viene riconosciuta dal MiBACT, come un evento di straordinaria bellezza.
Non ti nascondo, che prima di tale riconoscimento, e su sollecitazioni di amici artisti (tra i quali alcuni napoletani), come Associazione “Utopia” abbiamo pensato ad una possibile “storicizzazione” di tale situazione, per consentire una dignitosa esposizione permanente in loco, delle opere prodotte in quelgi anni 80 e 90 (fino alle ultime di mail art e di video arte), mediante una mostra documentaria in un luogo deputato istituzionale, di una grande città come Napoli, ovviamente con l’avallo e il supporto logistico, soprattutto, dell’Ente locale (con la speranza che si possano accodare anche Provincia e Regione e lo stesso MiBACT, altrimenti faremo senza).
Prima di tornare in Campania sei stato molto in giro, da artista, quando racconti del tuo lavoro ti consideri uno “spazzato via dalla Transavanguardia”, cosa vuoi dire di preciso?Tu sei un artista che attraversa generi e linguaggi dell’arte, forte della sua capacità di concettualizzazione poetica che piega il media che affronta, alludi alla costruzione teorica della “Transavanguardia” che per motivi di mercato limitava in quegli anni la ricerca artistica degna d’attenzione alle sole arti classiche?
Ho usato un termine per esprimere con maggiore chiarezza, il contesto in cui mi sono trovato ad operare in quella fine degli anni 70 (1975/1978), e a proporre un mio lavoro che principalmente verteva sulla memoria & identità, senza fronzoli inutili o nostalgici, ma per raccontare delle storie in modo atipico e inusuale, sottolineando certi aspetti “trasgressivi”; mettere a nudo tabù e ipocrisie di una società piccolo borghese, cattolica e reazionaria, valorizzando la cultura contadina, attraverso alcuni mezzi (dopo le prime esperienze pittoriche), con la fotografia e i film “fatti in casa” (in 8 mm. e super 8, oggi riversati in video digitale mini-dv, dopo un primo riversamento in VHS verso la fine degli anni 90)…
Perché “spazzato” via dalla Transavanguardia? Perché tale movimento, che alla grande celebrava un ritorno all’ordine, nel recupero di una manualità, per un decorativismo pittorico tout court, voluto fortemente dal mercato, chiuse inevitabilmente le porte a certe esperienze (non solo mie, ma di tanti altri, dei quali alcuni si convertirono). Esperienze (tra quelle conosciute e non), che riapparvero dopo oltre un decennio, dagli inizi anni 90 in poi…
I linguaggi dell’arte stanno mutando, questo secolo sembra avere sostituito agli intermediari del secolo passato, applicazioni e monitor di pc, parallelamente gli artisti sembrano ancorati al secolo passato e appaiono incapaci di usare questo grande vuoto (dettato anche dalla crisi economica) per elaborare nuove problematiche e nuove risposte linguistiche alla mutazione in corso, siamo davanti alla possibilità di ritrovarci una generazione asettica e acritica di artisti eterodiretti che si muovono soltanto da professionisti che seguono e inseguito un mercato costruito a tavolino o intravedi vie di fuga a tutto questo?
L’unica via di fuga, almeno per quelli come me, è “come sopravvivere”, senza “tradire” l’arte e la propria indole. Non il sistema mercantile, del quale non mi sono mai preoccupato, soprattutto in quegli anni 80, “strafottendomene” (scusa il termine un pò “aggressivo”, ma è la verità), altrimenti avrei agito da “furbastro” in tempi non sospetti, e avrei avuto anche la facoltà di farlo in quel di Milano, dove non mi mancava la possibilità di poterlo fare, con un invito esplicito da parte di chi mi stimava e conosceva il mio lavoro. Dovevo solo decidermi, ma non l’ho fatto (senza entrare nei particolari). L’importante è essere se stessi, anche se a volte si pagano certe scelte, arrivando, anche se con un dubbio, ai soliti “rimpianti”. Il “grande vuoto” che hai messo in risalto (grazie anche alla crisi economica), fa riflettere, e secondo me, ci troviamo già a conoscere una generazione asettica e acritica di artisti che inseguono esclusivamente un mercato, parallelamente alle mutazioni del linguaggio artistico legato all’era digitale. Non so se esserne “invidioso”, o meno, o addirittura “indignarmi”. Di sicuro, di questo passo, l’arte ne risentirà e (in un futuro prossimo, credo) avrà poco da raccontare. In assenza di contenuti, assisteremo ai soliti “deja vu” (e “deja fait”), dei corsi e ri-corsi, e alle solite azioni eclatanti per “meravigliare” chi ormai “non si meraviglia più”…